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Nel cuore incandescente del conflitto mediorientale, mentre le macerie di Gaza continuano a moltiplicarsi sotto il peso delle bombe e delle narrazioni contrapposte, si affaccia con singolare insistenza una notizia tanto destabilizzante quanto emblematica: Donald J. Trump, al suo secondo mandato presidenziale, sarebbe pronto a riconoscere lo Stato di Palestina. Una mossa che, se confermata, segnerebbe una discontinuità radicale con la postura sionista che ha caratterizzato, in forma inequivocabile, tanto il suo primo mandato quanto la sua retorica elettorale.
A questa notizia si affianca, quasi in simultanea, una dichiarazione muscolare del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu:
Entreremo a Gaza con tutta la nostra forza (Aska News)
Parole che, in un contesto già devastato da oltre 52.000 vittime palestinesi e con più del 90% della popolazione della Striscia sfollata, suonano come preludio a un’ulteriore fase di annientamento militare.
Due affermazioni, dunque, che sembrano dissonanti. Ma lo sono davvero? O ci troviamo di fronte a un copione ben orchestrato?
Contenuti
1. Il presunto riconoscimento dello Stato palestinese
La notizia del possibile riconoscimento della Palestina da parte dell’Amministrazione Trump ha iniziato a circolare nei circuiti mediatici arabi e in alcune agenzie secondarie, per poi essere prontamente smentita da fonti ufficiali statunitensi. L’ambasciatore USA in Israele, Mike Huckabee, ha bollato tali indiscrezioni come “sciocchezze” (ANSA, 10 maggio 2025).
È tuttavia utile ricordare che Trump, già nel suo primo mandato, aveva mostrato una postura apertamente filo-israeliana:
- riconoscimento unilaterale di Gerusalemme come capitale d’Israele,
- legittimazione dell’annessione del Golan e
- promozione degli Accordi di Abramo.
Nel secondo mandato, ha rilanciato l’idea di trasformare Gaza in una “Riviera mediorientale” sotto tutela americana, con una sostanziale ricollocazione dei palestinesi in paesi terzi (The Times, 8 maggio 2025).
2. L’annuncio dell’offensiva finale su Gaza
Parallelamente, Netanyahu ha confermato l’intenzione di procedere con una nuova offensiva militare totale su Gaza, con l’obiettivo dichiarato di eliminare Hamas e recuperare gli ostaggi israeliani. In un’intervista del 13 maggio 2025, ha affermato:
«Non interromperemo la guerra in alcun modo finché non avremo raggiunto tutti gli obiettivi» (AP News)
In un contesto già segnato da devastazione umanitaria e sfollamenti di massa, tali parole sembrano indicare che la soluzione finale del “problema Gaza” venga perseguita militarmente, prima di qualsiasi architettura diplomatica.
3. Ossimoro o orchestrazione? L’ipotesi di una regia diplomatica
A prima vista, le due dichiarazioni – l’una diplomatica, l’altra bellica – appaiono contraddittorie. Tuttavia, analizzate con attenzione, esse paiono rientrare in una strategia convergente a più livelli.
3.a. Trump e la pace come atto di conquista
Trump potrebbe mirare a un’operazione di pace fondata sul principio del dominio: un riconoscimento della Palestina come entità depotenziata, subordinata, resa accettabile da Israele in quanto svuotata di ogni minaccia. L’atto finale di una pace negoziata sotto bandiera americana, ma nei termini imposti dal vincitore.
3.b. Netanyahu: la forza come premessa alla trattativa
L’intervento militare serve ad azzerare la resistenza armata e a costruire le condizioni materiali per una nuova fase politica. Solo da una Gaza spezzata può nascere, secondo questa logica, una Palestina “governabile” e funzionale agli interessi israeliani.
3.c. Chi mette in circolo queste notizie?
Dietro il rilascio e la successiva smentita di notizie ad alto impatto geopolitico, si cela spesso un meccanismo consolidato: la gestione dell’informazione come arma tattica. Non si tratta semplicemente di iniziative giornalistiche, bensì dell’intersezione funzionale tra intelligence, diplomazia parallela e media mainstream.
Numerosi rapporti indipendenti hanno mostrato come alcune testate internazionali – comprese agenzie “prestigiose” – siano penetrate da operatori dei servizi segreti, sia in forma diretta (agenti assegnati alla stampa) che indiretta (attraverso fonti anonime controllate). Il caso storico della CIA e dell’operazione Mockingbird, così come le rivelazioni sulle collaborazioni fra Mossad e alcuni network occidentali, costituiscono un precedente strutturale mai del tutto archiviato.
In tempi recenti, l’uso di leaks controllati, interviste anonime e “anticipazioni diplomatiche” è diventato prassi nelle fasi che precedono negoziati multilaterali o operazioni militari: si forma il consenso manipolando l’attesa.
Non è solo propaganda: è ingegneria narrativa applicata alla politica globale.
3.d. Le notizie come strumenti percettivi
Far circolare, e poi smentire, è parte di una strategia ben nota:
- Si testa la base evangelica americana;
- Si manda un messaggio calibrato ai partner arabi;
- Si educa progressivamente il pubblico occidentale a una soluzione “storica”.
Nulla è affidato al caso. Ogni dichiarazione è già parte del negoziato.
4. Non caos, ma architettura del finale
Ciò che può apparire, a uno sguardo superficiale, come contraddizione narrativa o instabilità diplomatica, si rivela, a uno sguardo più vigile, come architettura strategica a più livelli: una combinazione di deterrenza militare, costruzione diplomatica e manipolazione percettiva orchestrata con metodo.
Il progetto che va delineandosi sembra orientato verso una Palestina formalmente riconosciuta ma sostanzialmente neutralizzata, integrata in un assetto regionale controllato, nel quale gli Stati Uniti, con Trump al centro della scena, si propongono come artefici supremi della stabilizzazione globale, e Israele come vincitore magnanimo che “concede” la pace a patto che nulla sia realmente concesso.
Tuttavia, ciò che non si dice – e che pochi osano vedere – è che anche Trump è un attore. Un primo attore, certamente. Carismatico, imprevedibile, strategico. Ma pur sempre un interprete all’interno di una sceneggiatura scritta da altri.
I registi del film sono transnazionali, invisibili ai media, ben noti nei flussi di capitale e negli ingranaggi delle banche centrali. E sono gli stessi che manovrano la scena globale dove agiscono Putin, Xi Jinping e i vertici del blocco BRICS.
All’interno di questo film globale, vi possono essere contrasti tattici e divergenze reali. Ma la trama è lineare: la costruzione di un Nuovo Ordine Mondiale multipolare, non più unipolare atlantico, ma simmetricamente governato da potenze coordinate in superficie e convergenti in profondità.
Dietro le quinte, i produttori del film sono sempre loro: coloro che stampano denaro dal nulla, tanto in Occidente quanto in Oriente.
Sono le stesse centrali finanziarie che, con una mano, finanziano guerre e riconversioni industriali, e con l’altra modellano sistemi monetari, criptovalute sovrane e infrastrutture digitali di controllo globale.
Il sionismo escatologico, la ricostruzione del Terzo Tempio, l’unità religiosa globale e la “pace finale” con la Palestina sono tasselli di una strategia spirituale e geopolitica convergente. Il profeta Daniele, infatti, annuncia che “egli stabilirà un patto con molti per una settimana”, ma che a metà della stessa “farà cessare il sacrificio e l’offerta” e porrò l’abominazione della desolazione nel luogo santo (Daniele 9:27). Paolo apostolo conferma che l’uomo del peccato si siederà nel Tempio di Dio, “mostrando sé stesso come se fosse Dio” (2Tessalonicesi 2:4), proclamandosi l’unico mediatore tra cielo e terra.
L’accordo di pace, dunque, non sarà che la porta cerimoniale attraverso cui entrerà l’usurpatore. Una pace illusoria, che servirà a consacrare il trionfo momentaneo della menzogna.
«Quando diranno: “Pace e sicurezza”, allora una rovina improvvisa verrà su di loro, come le doglie alla donna incinta, e non scamperanno» (1 Tessalonicesi 5:3)
Non ci troviamo, quindi, dinanzi a un disordine incontrollato, bensì all’ingegneria finale del consenso globale, scritta con sapienza da registi della geopolitica e animata da potenze invisibili che agiscono secondo un copione più antico e profondo di quanto i più sospettino.
La liturgia della pace sarà, in realtà, l’offerta sacrificale sull’altare dell’inganno.
E l’umanità, affaticata e illusa, applaudirà il falso redentore che sale le scale del tempio, mentre il giudizio si prepara a discendere.