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© di Filippo Chinnici, pubblicato – 11 maggio 2025
Il presente contributo si propone di confutare l’articolo pubblicato su La Cruna dell’Ago e firmato da Cesare Sacchetti, volto a difendere la figura di Papa Leone XIV (Robert Francis Prevost) dalle accuse concernenti presunte omissioni nella gestione di casi di abuso sessuale durante il suo episcopato presso la diocesi di Chiclayo (2015–2023). Il testo in questione costruisce una narrazione apologetica che tenta di neutralizzare ogni profilo di responsabilità attraverso due principali assi argomentativi: da un lato, la pretesa osservanza delle procedure canoniche da parte di Prevost mediante la semplice trasmissione delle denunce al Dicastero per la Dottrina della Fede; dall’altro, la rappresentazione di una presunta «macchina del fango» orchestrata da media ostili al cattolicesimo, legati – si afferma – a poteri economico-finanziari transnazionali.
La presente analisi segue l’ordine logico dell’articolo contestato, offrendo una risposta puntuale e documentata, fondata su rigore canonistico, coerenza epistemologica e fonti verificabili. Scopo di questo lavoro è restituire chiarezza e onestà intellettuale al dibattito, opponendosi alle derive retoriche che deformano la realtà per finalità ideologiche.
Contenuti
- 1. L’obbligo canonico disatteso: la trasmissione non basta
- 2. La SNAP non è screditabile
- 3. Il caso Jiang: una correlazione fuorviante
- 4. Una protezione sistemica?
- 5. Il caso James Rey: responsabilità indiretta, ma reale
- 6. L’incoerenza della teoria del complotto mediatico
- 7. Il rito tridentino e i tweet contro il Nuovo Ordine Mondiale
- 8. Il ruolo di Parolin come ricevente della denuncia SNAP
1. L’obbligo canonico disatteso: la trasmissione non basta
Il Motu Proprio Vos estis lux mundi (VELM), promulgato da Papa Francesco nel 2019 e pienamente vigente all’epoca dei fatti oggetto di discussione, delinea un impianto normativo chiaro e cogente in materia di segnalazioni riguardanti abusi sessuali. Tra le disposizioni di maggior rilievo, si evidenziano:
- Art. 5: l’obbligo di garantire accoglienza, ascolto e protezione pastorale alle vittime;
- Art. 10: l’obbligo del vescovo ordinario (o del metropolita) di avviare senza indugio un’indagine canonica locale, salvo manifesta infondatezza della notitia de delicto.
Nel caso specifico della diocesi di Chiclayo, risulta da fonti giornalistiche attendibili che, nel 2022, l’allora vescovo Robert Francis Prevost ricevette denuncia formale da parte di tre sorelle peruviane — Ana María, Juana Mercedes e Aura Teresa Quispe Díaz — le quali riferivano abusi sessuali subiti in età infantile (9-11 anni) da parte dei sacerdoti Eleuterio Vásquez González e Ricardo Yesquén. Le testimonianze furono trasmesse al Dicastero per la Dottrina della Fede; tuttavia, non risulta che sia stata attivata alcuna indagine canonica a livello diocesano, né che sia stata istituita una commissione di ascolto, né che sia stato emanato un decreto formale di apertura dell’inchiesta, come espressamente prescritto dall’art. 10 del VELM.[fonte]
L’assenza di atti procedurali — confermata dalle stesse vittime, che dichiarano di non aver ricevuto alcun riscontro concreto da parte della diocesi — configura un caso emblematico di inerzia istituzionale.
La letteratura canonistica successiva al VELM è pressoché unanime nell’affermare che la mera trasmissione della denuncia agli organi superiori non esonera l’ordinario dalla responsabilità di attivare un’adeguata procedura locale, né lo solleva dall’obbligo di accompagnamento pastorale nei confronti delle vittime. Autori quali Sandonà (2023) e Gentile (2020) sottolineano come anche la semplice inattività, in presenza di una notitia de delicto credibile, possa configurare una forma di «insabbiamento canonico». In assenza di una risposta integrale — fatta di ascolto, indagine e cooperazione concreta — il vescovo incorre in una responsabilità oggettiva secondo la normativa vigente. Il paradigma tracciato dal VELM non ammette più zone d’ombra: l’omissione, anche non dolosa, costituisce violazione del mandato pastorale e giuridico.
Come rileva acutamente Daniela Milani (2020, p.438),
«La mancata attivazione dell’indagine previa da parte dell’ordinario o del gerarca, di fronte alla notizia, almeno verosimile, di un delitto più grave, integra una responsabilità non soltanto disciplinare ma pastorale, perché le omissioni – anche involontarie – possono produrre danni irreparabili alla dignità delle vittime e alla credibilità dell’intero corpo ecclesiale».
Nel caso Prevost, le vittime riferiscono di non essere mai state informate circa l’avvio di un’indagine canonica, né ascoltate da alcun organo ecclesiale, né accompagnate dopo l’incontro avuto con il vescovo. La diocesi di Chiclayo ha successivamente diffuso un comunicato evasivo, privo di riferimenti a provvedimenti formali o atti documentabili. Tale silenzio procedurale, lungi dal dissipare i dubbi, rappresenta esso stesso una forma implicita di risposta.
Trasmettere documenti non equivale ad assumersi la responsabilità pastorale. È come ricevere un grido d’aiuto e limitarsi a inoltrarlo a un ufficio postale. Nessuna cultura della trasparenza può sopravvivere se l’inazione viene confusa con l’osservanza formale. E nessuna autorità spirituale può ritenersi assolta solo perché non ha nascosto, quando non ha fatto nulla.
2. La SNAP non è screditabile
Uno degli snodi centrali della difesa articolata da Cesare Sacchetti risiede nel tentativo di delegittimare la SNAP (Survivors Network of those Abused by Priests), l’associazione che ha sollevato critiche pubbliche nei confronti di Robert Francis Prevost, accusandolo di inazione sistemica durante il suo episcopato a Chiclayo. A sostegno di tale strategia, l’autore richiama alcuni episodi controversi relativi al passato dell’organizzazione, in particolare le accuse rivelatesi infondate nei confronti del sacerdote Joseph Jiang (2012 e 2014) e la denuncia interna, avvenuta nel 2017, da parte di una ex dipendente, che imputava alla SNAP una gestione opaca delle donazioni ricevute.[fonte]
Tuttavia, tale impostazione argomentativa difetta gravemente sul piano epistemologico, ricadendo in una fallacia logica ben nota: la generalizzazione per contaminazione. L’errore circoscritto di alcuni esponenti, in contesti specifici e temporalmente distanti, non può essere arbitrariamente proiettato sull’intera attività dell’organizzazione, né tantomeno utilizzato come criterio per screditarne ogni futura denuncia. Ciò equivarrebbe a un ad hominem indiretto: non si confuta l’accusa, ma si discredita chi la pronuncia, senza confrontarsi col merito fattuale.
Una simile logica, se estesa coerentemente, condurrebbe all’annullamento della credibilità di qualsiasi istituzione – accademica, giudiziaria, ecclesiale – sulla base di singoli errori passati. Nemmeno la Chiesa Cattolica, con la sua millenaria storia, ne uscirebbe indenne. Non si giudica la verità di un’affermazione in base alla biografia di chi la pronuncia, ma alla solidità dei dati che la sostengono.
Nel caso specifico di Chiclayo, peraltro, la SNAP non costituisce una voce isolata. Le accuse rivolte a Prevost trovano riscontro in un tessuto coerente e convergente di fonti indipendenti: Crux Now, Associated Press, BishopAccountability, oltre alle dichiarazioni pubbliche e reiterate delle stesse tre sorelle Quispe. Tale convergenza empirica esclude ogni ipotesi di orchestrazione ideologica o propaganda unilaterale. Non ci troviamo di fronte a un attacco pretestuoso, ma a un coro plurale che pone interrogativi legittimi e circostanziati.
Tentare di eludere il merito delle denunce discreditando la figura degli attivisti è una prassi ben nota nei contesti in cui la ragion di Stato – o di Curia – prevale sulla verità. È l’inversione tra accusato e testimone, tra imputazione e ritorsione. Si processa non ciò che è stato fatto o omesso, ma chi ha osato parlarne.
Se si adottasse coerentemente tale logica, si dovrebbe rigettare anche la lunga tradizione profetica della Scrittura. Nathan, Amos, Giovanni Battista furono voci isolate, marginali, non istituzionali. Furono ascoltati da pochi, osteggiati da molti, ma la loro verità non dipese dalla loro posizione, bensì dalla sostanza del loro annuncio. Così anche oggi: non è la purezza formale del denunciante a decidere la fondatezza dell’accusa, ma la coerenza degli atti, la trasparenza delle procedure, l’esistenza – o l’assenza – di un’adeguata risposta pastorale e canonica.
E in questo caso, qualunque sia il giudizio sulla SNAP, ciò che resta incontrovertibile è il vuoto procedurale nella diocesi di Chiclayo. Gli atti mancanti parlano più di ogni comunicato. E nessuna polemica biografica può cancellare la responsabilità del silenzio.
3. Il caso Jiang: una correlazione fuorviante
Nel tentativo di delegittimare la SNAP (Survivors Network of those Abused by Priests), Cesare Sacchetti richiama il caso del sacerdote cinese Joseph Jiang, accusato negli Stati Uniti nel 2012 e nel 2014 di abusi sessuali, poi prosciolto e risarcito in sede civile per diffamazione. L’associazione fu effettivamente coinvolta in quel contenzioso, e l’esito del processo ha segnato un precedente mediatico rilevante. Tuttavia, l’uso che Sacchetti fa di questo caso è metodologicamente fallace, poiché tenta di trasferire l’errore accertato in un contesto remoto e differente su ogni futura denuncia proveniente dallo stesso organismo, incluso il dossier relativo alla diocesi di Chiclayo.
Questa tecnica discorsiva rientra nella categoria delle fallacie genetiche, e più precisamente nella variante della contaminazione retroattiva: si presume che l’esistenza di un errore passato invalidi ogni futuro intervento, senza esaminare il merito dei singoli casi. È una strategia retorica che sostituisce l’analisi con il sospetto, la verifica con il pregiudizio.
Nel caso Jiang, le conclusioni assolutorie si fondarono su elementi incontrovertibili: la ritrattazione dei testimoni, l’assenza di qualsivoglia riscontro probatorio, il riconoscimento giurisdizionale dell’errore e la conseguente sentenza risarcitoria per diffamazione. Nulla di simile può dirsi in relazione alle sorelle Quispe che hanno denunciato l’abuso.
- Non vi è stata ritrattazione,
- né alcuna sentenza di archiviazione per infondatezza,
- né alcuna smentita giudiziale delle loro dichiarazioni.
Il procedimento penale in Perù si è interrotto unicamente per effetto della prescrizione, non l’innocenza, una causa di estinzione dell’azione penale che non comporta in alcun modo l’assoluzione dell’imputato, né la smentita della vittima. La prescrizione è una sospensione nel tempo, non una riabilitazione nel merito. È la forma giuridica dell’oblio, non della verità.
In tale contesto, evocare il caso Jiang per sminuire la gravità delle accuse peruviane significa sviare l’attenzione dal contenuto delle denunce verso la biografia dell’accusatore, in un gioco di prestigio dialettico che confonde le premesse con le conclusioni. È un tentativo di costruire una falsa simmetria: se SNAP ha sbagliato allora, sbaglia anche oggi.
Ma la logica esige che ogni accusa venga giudicata secondo la propria sostanza probatoria, non secondo il pedigree dell’accusatore. E nel caso di Chiclayo, la sostanza che manca non è quella della denuncia, ma quella della risposta: nessuna indagine canonica è stata avviata, nessuna commissione d’ascolto istituita, nessun decreto episcopale emesso.
Se l’errore di SNAP nel caso Jiang insegna qualcosa, è esattamente ciò che Prevost, oggi Papa Leone XIV, ha omesso: la necessità di indagare con tempestività e rigore. Perché se la denuncia è infondata, è doveroso dimostrarlo; se è fondata, è doveroso agire. In entrambi i casi, l’inazione è la forma più insidiosa di collusione.
4. Una protezione sistemica?
Un ulteriore indizio dell’esistenza di una rete di protezione sistemica attorno a Robert Francis Prevost, oggi Papa Leone XIV, risiede nel silenzio sistematico mantenuto dai media ufficiali vaticani. Né L’Osservatore Romano né Vatican News hanno mai menzionato, nemmeno in modo indiretto, le accuse relative alla sua gestione dei casi di abuso nella diocesi di Chiclayo, né hanno riportato la notizia della denuncia formale presentata nel 2024 dalla SNAP al cardinale Pietro Parolin, pur essendo quest’ultimo il destinatario istituzionale di tale segnalazione. Non si tratta di una semplice svista editoriale, bensì di un’omissione selettiva e significativa.
In altre circostanze – come nel caso McCarrick negli Stati Uniti o nel caso Barros in Cile – la macchina comunicativa vaticana aveva prodotto editoriali, comunicati ufficiali e servizi di approfondimento, riconoscendo la gravità degli eventi e promuovendo, almeno formalmente, un’immagine di trasparenza. Nulla di simile è avvenuto per Prevost. Persino quando emerse il reportage televisivo dell’emittente peruviana Cuarto Poder, trasmesso a livello nazionale nel settembre 2024 e poi diffuso online con testimonianze dirette delle vittime, i media vaticani non dedicarono una sola riga alla questione. [AmericaTv]
Il silenzio istituzionale è un atto deliberato. Dove altri scandali sono stati riconosciuti, spiegati o almeno contestualizzati, qui si è preferito l’oblio mediatico. Tale atteggiamento suggerisce non soltanto una strategia di contenimento reputazionale, ma una vera e propria forma di tutela curiale preventiva, funzionale alla scalata di Prevost ai vertici della Chiesa Cattolica. In tal senso, il silenzio non è neutro: è complice.
5. Il caso James Rey: responsabilità indiretta, ma reale
Un ulteriore argomento impiegato da Cesare Sacchetti nel tentativo di assolvere Robert Francis Prevost dalle ombre del passato è il caso del sacerdote James M. Ray (erroneamente citato come James Rey), figura centrale di uno dei più gravi dossier dell’arcidiocesi di Chicago. Secondo il Clergy Abuse Report pubblicato dall’Attorney General dell’Illinois (2023), Ray – ordinato nel 1975 – fu accusato da tredici vittime per episodi di abuso sessuale su minori verificatisi tra il 1974 e il 1991 in diverse parrocchie della diocesi, tra cui Saint Anastasia, Saint Peter Damian e Transfiguration. La prima denuncia formale risale al 1990; il suo nome fu inserito nella lista pubblica dei sacerdoti accusati soltanto nel 2006. [Fonte: Office of the Illinois Attorney General, “Clergy Abuse Report” (2023), p. 246].
Nel 2000, nonostante tali precedenti, Ray fu collocato temporaneamente nel convento agostiniano di St. John Stone a Chicago, a pochi metri da una scuola cattolica. Tale trasferimento avvenne sotto la responsabilità logistica e pastorale di Robert Prevost, all’epoca superiore provinciale dell’Ordine di Sant’Agostino. Né la scuola fu informata della presenza del sacerdote sotto accusa, né vennero disposte misure di vigilanza, né risultano iniziative atte a prevenire eventuali rischi. In un’epoca in cui le linee guida sulla tutela dei minori erano già note e la crisi degli abusi clericali ampiamente denunciata, tale comportamento risulta gravemente inadeguato.
Sacchetti tenta di ridurre l’episodio a un’anomalia insignificante, sottolineando che «non vi furono abusi» durante il periodo di permanenza di Ray presso il convento e che Prevost non fu l’artefice della decisione. Ma una simile linea difensiva elude la vera questione. Il punto non è se Prevost abbia deliberatamente favorito un molestatore seriale, ma se egli abbia esercitato – o omesso di esercitare – quel dovere di vigilanza, prudenza e discernimento pastorale che, secondo la tradizione canonica e la teologia del munus episcopale, costituisce parte integrante della responsabilità morale di ogni superiore ecclesiastico.
La passività non assolve. Anche se l’ordine fu impartito da un’autorità superiore, la responsabilità di accoglienza e custodia ricadeva su Prevost, che non può essere considerato un mero esecutore logistico. La sua decisione di non avvisare l’istituzione scolastica adiacente, e di non porre alcuna condizione all’ingresso di Ray nella comunità religiosa, denota una modalità gestionale orientata alla minimizzazione del rischio reputazionale, piuttosto che alla tutela reale dei più vulnerabili.
È proprio questa forma di «negligenza sistemica», così frequentemente riscontrata nella prassi ecclesiale degli anni Novanta e Duemila, ad aver alimentato la profondissima crisi di credibilità della Chiesa Cattolica in materia di abusi. La scelta di collocare un sacerdote segnalato presso una comunità educativa senza una rete di protezione, pur in assenza di nuovi atti di abuso, costituisce un errore pastorale e morale di vasta portata.
Anche senza una colpevolezza penale o canonica, resta intatta la questione del giudizio etico e del discernimento spirituale. Non si tratta di evocare un tribunale, ma di interrogare la coscienza. E una coscienza pastorella non può rifugiarsi nell’alibi dell’obbedienza cieca quando ciò mette a rischio i piccoli che le sono affidati.
In definitiva, la trasparenza ecclesiale non è una formalità regolamentare, ma un’istanza teologica. Chi ha avuto l’onore e il compito di guidare anime, strutture e comunità non può sottrarsi alla domanda: «Ho vigilato come sentinella sulla casa del Signore?» La risposta, in questo caso, non può che restare sospesa.
6. L’incoerenza della teoria del complotto mediatico
Una sezione cardine dell’articolo redatto da Cesare Sacchetti è occupata dalla costruzione di una narrazione cospirativa secondo cui gli attacchi mediatici rivolti a Robert Francis Prevost proverrebbero da un’élite ostile al cattolicesimo tradizionale, individuata nel conglomerato editoriale peruviano Grupo El Comercio, controllato dalla famiglia Miró Quesada, proprietaria tra l’altro del programma Cuarto Poder, trasmesso su América TV. Secondo Sacchetti, tali gruppi sarebbero l’estensione comunicativa dei poteri forti transnazionali – Rothschild, BlackRock, Vanguard – i quali avrebbero visto nell’ascesa di Prevost una minaccia alla propria egemonia e alla narrazione dominante del «Nuovo Ordine Mondiale» senza specificare se si riferisca a quello globalista, oramai tramontato, o a quello multipolare che sta sorgendo.
Nel settembre 2024, il programma Cuarto Poder mandò effettivamente in onda un’inchiesta televisiva intitolata Exobispo de Chiclayo mantuvo en silencio casos de abuso sexual (L’ex vescovo di Chiclayo ha mantenuto il silenzio su casi di abuso sessuale), che includeva le testimonianze pubbliche delle sorelle Quispe e sollevava gravi interrogativi sull’inerzia dell’allora vescovo Prevost oggi salito al soglio pontificio.
Tuttavia, interpretare questo servizio come l’effetto di un complotto mediatico orchestrato dai poteri forti rivela un vizio logico di fondo: confonde il contenuto di una denuncia fattuale con l’intenzionalità speculativa del mittente, e soprattutto trascura il profilo istituzionale dello stesso Prevost.
Infatti, lungi dal rappresentare un antagonista dell’ordine ecclesiale vigente, Prevost ha incarnato per tutta la sua carriera, una figura di perfetta continuità con la linea bergogliana: membro dell’Ordine di Sant’Agostino, missionario in Perù, sostenitore delle riforme pastorali e sociali inaugurate da Bergoglio. Il suo impegno pubblico in favore della così detta giustizia climatica, della tutela delle popolazioni indigene e della cooperazione interreligiosa si colloca pienamente nell’alveo tracciato dall’enciclica Laudato si’ e da altre dichiarazioni programmatiche di Bergoglio.
Ancora più emblematico è il suo atteggiamento durante la pandemia da Covid-19. Prevost non solo sostenne pubblicamente la campagna vaccinale, ma ne riprese fedelmente la retorica morale già impiegata da Bergoglio, definendo la vaccinazione un «gesto d’amore verso i più vulnerabili». Mai, in nessun momento, risulta essersi discostato dalle posizioni ufficiali del Vaticano in materia bioetica, né tanto meno aver espresso critiche alle misure sanitarie o alla gestione internazionale della crisi.

Tali elementi smentiscono in modo inequivocabile la rappresentazione di Prevost come “nemico” dell’agenda mondialista. Al contrario, la sua velocissima ascesa nella gerarchia curiale – dalla diocesi di Chiclayo al Dicastero per i Vescovi, fino al soglio pontificio – è avvenuta proprio in virtù della sua affidabilità istituzionale, del suo allineamento dottrinale e della sua consonanza con il modello ecclesiale promosso da Bergoglio. Le sue nomine non rappresentano un punto di rottura, ma un anello coerente in una catena di continuità teologica e politica.
Alla luce di ciò, l’evocazione di celebrazioni in rito tridentino e di presunti tweet contro il «Nuovo Ordine Mondiale» (quale?) si configura come un’operazione mistificatoria. Nessuna prova documentaria conferma un suo impegno coerente a favore del tradizionalismo liturgico, né un’opposizione sistematica alle agende globali. Si tratta, al più, di episodi occasionali, privi di cornice programmatica, che non bastano a definire un’identità alternativa rispetto a quella dominante nella governance ecclesiale attuale.
L’assunto di fondo dell’articolo di Sacchetti – secondo cui un sistema avrebbe prima promosso e poi attaccato Prevost – si dissolve sotto il peso della propria incoerenza logica. Non si può essere al tempo stesso creatura del sistema e sua vittima. Se Prevost fosse realmente avverso agli assetti di potere globali, non avrebbe percorso ininterrottamente i gradini di una carriera così rapida, fulminea, culminata adesso nella massima carica pontificia. È più plausibile, al contrario, che il silenzio su Chiclayo sia il frutto di protezione interna, probabilmente la massoneria vaticana, non di persecuzione esterna.
In tal contesto, l’invocazione di una «macchina del fango» non appare come una denuncia profetica, ma come un espediente retorico atto a sottrarre Prevost a ogni scrutinio pubblico. Ogni critica viene neutralizzata a priori, non con l’evidenza dei fatti, ma con il sospetto sul mittente. È l’antica inversione epistemica: ciò che è scomodo, è falso; ciò che è accusatorio, è calunnioso.
Ma la verità, anche nella sua dimensione ecclesiologica, non si misura sulla base della purezza ideologica del denunciato o del denunciante, bensì sulla coerenza verificabile delle azioni. E i fatti, nel caso di Chiclayo, rimangono inchiodati alla loro gravità: una denuncia protocollata, una procedura mai avviata, delle vittime di abusi abbandonate. Questo non è l’effetto di un attacco orchestrato dalla finanza globale. È la testimonianza, ancora viva, di una giustizia non compiuta.
7. Il rito tridentino e i tweet contro il Nuovo Ordine Mondiale
Per avvalorare la tesi di una presunta persecuzione orchestrata dai poteri globalisti contro Papa Leone XIV, Cesare Sacchetti convoca a sostegno alcuni episodi isolati che, a suo dire, testimonierebbero l’estraneità di Prevost all’establishment ecclesiale mondialista: tra essi, talune celebrazioni in rito tridentino e l’asserita condivisione di contenuti critici nei confronti del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale. Tali elementi vengono elevati a segni distintivi di una presunta opposizione dottrinale rispetto alla linea di Bergoglio e, per estensione, ai poteri sovranazionali che Sacchetti identifica con la «macchina del fango».
Tuttavia, tale impianto interpretativo si rivela non solo fragile sul piano fattuale, ma profondamente fuorviante su quello logico. Le occasionali celebrazioni in forma extraordinaria, ove effettivamente avvenute, risultano circoscritte, episodiche, e non accompagnate da alcuna dichiarazione pubblica che possa far supporre un’adesione ideologica al fronte tradizionalista. Non vi è traccia – né negli archivi ecclesiastici né nella stampa internazionale – di un rifiuto, da parte di Prevost, della costituzione apostolica Traditionis custodes, né tantomeno di una critica alla politica restrittiva verso l’uso del Messale del 1962 promossa da Bergoglio.
Quanto ai presunti tweet “eretici”, manca qualsivoglia fonte attendibile, archivio ufficiale o screenshot verificabile che possa attribuire al futuro pontefice una pubblicazione diretta o una posizione organica contraria all’ordine costituito. Anche qualora vi fossero state isolate interazioni digitali con contenuti ambigui, esse non sarebbero sufficienti – né sul piano dottrinale né su quello politico – a configurare una postura alternativa al paradigma dominante della governance ecclesiale.
Al contrario, la traiettoria pubblica e pastorale di Prevost – oggi Leone XIV – rivela una perfetta consonanza con l’agenda ecclesiale massonica promossa dal suo predecessore. Fu sostenitore dichiarato delle politiche vaticane in materia di presunta crisi climatica, partecipò a iniziative internazionali per la salvaguardia dell’ambiente e la giustizia sociale, abbracciò con fervore la dittatura sanitaria promossa durante la pandemia da Covid-19, definendo la vaccinazione un «atto d’amore verso i più vulnerabili» – espressione speculare al lessico bergogliano. A ciò si aggiunga il suo attivismo nell’ambito della diplomazia interreligiosa, attraverso progetti come l’Interfaith Rainforest Initiative, pienamente inseriti nell’orizzonte globalista che Sacchetti vorrebbe vedere da lui avversato.
Attribuire una postura “anti-sistema” a un prelato sulla base di simboli liturgici isolati o di post digitali non verificati, mentre si ignora sistematicamente il corpus documentato della sua opera pastorale e della sua promozione curiale, equivale a cedere alla tentazione del sospetto mitologico. È una costruzione difensiva che, nel tentativo di blindare l’immagine del pontefice, finisce per renderla paradossalmente più vulnerabile.
In definitiva, l’evocazione del rito tridentino e dei tweet “eretici” come indizi di un martirio mediatico si configura come una narrazione alternativa, utile a distogliere l’attenzione dalle domande concrete e dalle omissioni documentate. Ma ciò che viene taciuto in nome della propaganda, riemerge sotto forma di interrogativo morale: non se Leone XIV sia stato perseguitato, ma se abbia perseguito la giustizia. E su tale criterio, non i simboli, ma i fatti parlano.
8. Il ruolo di Parolin come ricevente della denuncia SNAP
Nel tentativo di rafforzare l’idea di un attacco pianificato contro Robert Prevost, Cesare Sacchetti introduce un ulteriore elemento: la denuncia formale inoltrata dalla SNAP al cardinale Pietro Parolin, all’epoca Segretario di Stato, viene presentata come uno strumento tattico, utilizzato da un presunto fronte interno al conclave per impedire l’ascesa al soglio pontificio di un candidato ritenuto “scomodo” per i poteri ecclesiastici e geopolitici dominanti. Parolin, in questa narrazione, diviene figura-simbolo di un’alleanza oscura, strumentalmente accusata di aver orchestrato una campagna diffamatoria sotto le mentite spoglie della giustizia.
Tuttavia, tale ricostruzione cede sotto il peso della logica e del diritto. La ricezione di una denuncia da parte del cardinale Parolin non costituisce, di per sé, un atto sospetto, bensì un passaggio ordinario e previsto nel protocollo istituzionale della Curia romana. In quanto Segretario di Stato, Parolin era – ed è – uno degli interlocutori obbligati per comunicazioni ad alta rilevanza sistemica, specialmente in prossimità di un conclave. Che la SNAP si sia rivolta a lui è dunque un atto coerente con le procedure vigenti, e non già un segnale di manipolazione o congiura.
Non esiste alcun riscontro oggettivo che attesti un coinvolgimento attivo del cardinale Parolin nella diffusione, nell’impiego o nella strumentalizzazione della denuncia presentata dalla SNAP, né vi è traccia di un suo utilizzo ai fini di influenzare – in maniera diretta o indiretta – le dinamiche interne al conclave. Al contrario, la rapidità con cui Robert Prevost è stato elevato al soglio pontificio induce piuttosto a ritenere che gli equilibri e le intese cardinalizie fossero già delineati prima ancora dell’apertura ufficiale del conclave stesso. A tale ipotesi sembrano alludere le numerose irregolarità riscontrate nell’elezione, analizzate nel mio precedente contributo. Pretendere che un singolo documento, per quanto grave, possa sovvertire gli equilibri complessi del Collegio cardinalizio è una visione semplicistica che ignora la natura multilivello della diplomazia ecclesiastica, fatta di geopolitica, teologia, alleanze regionali e bilanciamenti carismatici.
A rendere ancor più artificiosa tale narrazione è l’inserimento, da parte di Sacchetti, di figure estranee al contesto ecclesiastico – come Donald Trump – nel medesimo disegno persecutorio. Si viene così a delineare un improbabile asse simbolico tra Prevost e l’ex presidente degli Stati Uniti, accomunati dalla pretesa di essere “vittime” di un medesimo sistema repressivo globale. Ma questo accostamento non solo è storiograficamente infondato, bensì grottescamente antitetico alla realtà documentata.
Le posizioni pubbliche assunte da Prevost in merito alla politica migratoria statunitense dimostrano infatti una distanza netta e deliberata dall’universo simbolico trumpiano. Già nel 2015 egli rilanciava un articolo del cardinale Timothy Dolan che stigmatizzava la retorica anti-immigrazione di Trump; nel 2017 sosteneva apertamente la dichiarazione della California Catholic Conference in difesa del programma DACA, volto alla tutela dei giovani immigrati privi di documenti che sono più vicine alle politiche di H. Clinton e B. Obama. Nel 2018 condivideva le parole del cardinale Blase Cupich, che definiva «moralmente indifendibile» la separazione sistematica delle famiglie nei centri ICE. Più recentemente, Prevost ha sostenuto un editoriale intitolato Jesus doesn’t ask us to rank our love for others, criticando l’uso ideologico della fede da parte del vice di D. Trumo, J.D. Vance. Inoltre, ha denunciato la deportazione forzata di Kilmar Abrego García come esempio paradigmatico delle conseguenze disumanizzanti delle politiche anti-migratorie.
Tali posizioni, ampiamente documentate da organi di stampa internazionali come CBS News, Politico, ABC7 Chicago, National Catholic Reporter, rendono del tutto implausibile un’alleanza ideologica tra Prevost e l’ideologia di Trump tanto cara a Sacchetti. Non si tratta soltanto di divergenze politiche: è il codice morale ad essere opposto.
In questa luce, l’inserzione del nome di Trump non è che un artificio retorico, funzionale a evocare l’immaginario della resistenza eroica contro un potere occulto, sostituendo l’analisi con la mitopoiesi. Il discorso si trasferisce così da un piano giuridico-canonico a una narrazione messianica, dominata da logiche dicotomiche: da un lato i giusti perseguitati, dall’altro i malvagi dominatori.
Ma la realtà è più complessa. Non tutto ciò che è criticato dal mainstream è automaticamente giusto; non tutto ciò che proviene dalle istituzioni è per forza falso o corrotto. La verità non nasce da un’opposizione di principio, ma da un’adesione onesta ai fatti.
Così facendo, la questione reale – le omissioni documentate nella diocesi di Chiclayo – viene svuotata della sua portata morale e sacramentale, per essere assorbita in una narrazione geopolitica che distoglie lo sguardo dal punto cruciale: non cosa ne abbia fatto la Curia della denuncia, ma cosa non ne abbia fatto Robert Prevost, oggi Papa Leone XIV. Ed è lì che si gioca la credibilità del suo pontificato.
Conclusione
La narrazione proposta da Cesare Sacchetti si struttura su un paradigma interpretativo che rovescia il senso delle responsabilità: la denuncia diviene persecuzione, l’inerzia canonica è trasfigurata in fedeltà, la legittima domanda di giustizia viene piegata a strumento di un presunto disegno geopolitico. Ma al di là della cortina fumogena della retorica difensiva, ciò che emerge con chiarezza – documentale e morale – è l’assenza di un’adeguata reazione pastorale e procedurale da parte dell’allora vescovo di Chiclayo, Robert Francis Prevost.
Tre sorelle peruviane hanno denunciato abusi subiti nell’infanzia da parte di sacerdoti appartenenti alla diocesi. Hanno incontrato il vescovo, depositato testimonianze, atteso giustizia. Ma a quell’appello non seguì alcuna indagine canonica locale, nessuna commissione d’ascolto, nessun decreto formale. I documenti furono inoltrati a Roma, ma a livello diocesano non vi fu né trasparenza né intervento. Così si è compiuta l’assenza più eloquente: quella della cura. Una cura che la Chiesa – proprio secondo il dettato di Vos estis lux mundi – aveva il dovere di esercitare con prontezza e in loco.
L’omissione, in questo caso, non è un errore tecnico: è un fallimento spirituale. È il silenzio colpevole che lascia le vittime senza voce, le comunità senza guida, la verità senza luogo. Cercare rifugio in una narrazione alternativa, evocando nemici esterni, complotti, agenti del discredito, non risponde alla domanda centrale: il vescovo Prevost ha agito come pastore o come burocrate? Ha risposto da guida o si è limitato a inoltrare?
Che talune teorie del complotto si siano, in passato, rivelate fondate, è un dato storiografico. Ma l’uso indiscriminato dello schema cospirativo come chiave esplicativa universale finisce per diventare un paravento, utile solo a deviare lo sguardo dalle responsabilità concrete. In questo caso, l’immagine del “pontefice perseguitato” si sovrappone alla figura reale di un vescovo che non ha fatto ciò che era in suo potere per difendere i piccoli e gli indifesi. Non è questa una calunnia: è una constatazione. Documentata. Ineludibile.
Difendere la Chiesa Cattolica non significa proteggere la sua facciata, ma custodirne la sostanza. E la sostanza ecclesiale si radica nella verità, non nella propaganda. Ribaltare l’onere della prova, screditare i testimoni, insinuare macchinazioni globali – tutto ciò non risolve il nodo, ma lo stringe ancor più.
Un papa non è esente dalla giustizia, ma ne è il primo servitore. Se vi sono zone d’ombra nel suo passato, il modo con cui le affronterà costituirà la prima e più credibile predicazione del suo pontificato. Non si esige infallibilità, ma onestà. Non si richiede reattività, ma verità. Perché la credibilità dell’ufficio petrino (per chi è cattolico) non si misura nella sua retorica, ma nel modo in cui abbraccia – o elude – la croce della responsabilità.
Solo chi riconosce l’omissione può avviare la riparazione. E solo una Chiesa capace di verità può ancora offrire speranza. Non una speranza retorica, ma incarnata, fondata sulla giustizia, sulla memoria, sulla fedeltà a Cristo.
Chi nutre l’illusione che Leone XIV rappresenti una restaurazione dottrinale rimarrà inevitabilmente deluso. Dietro l’apparente compostezza liturgica si staglia una forma più sofisticata – e forse più insidiosa – di sincretismo globale, travestito da ortodossia e camuffato da rigore canonico. Ma non si tratta di rigore evangelico: si tratta di una nuova geopolitica spirituale, quella del nuovo ordine mondiale multipolare, che avanza sotto i segni della continuità apparente per occultare la rottura sostanziale. Robert Prevost non è l’alternativa a Bergoglio: ne è la prosecuzione con altri codici, il compimento liturgicamente vestito di un pontificato che ha dischiuso le porte al relativismo ecclesiale.
E proprio questa sofisticata contraffazione dell’ortodossia – sobria nei gesti, rassicurante nei toni, ma ambigua nella sostanza – rappresenta il vero pericolo del tempo presente: una Chiesa che conserva la forma del culto, ma ne svuota la sostanza; che indossa le vesti dell’Agnello, ma prepara inconsapevolmente la strada alla bestia; che predica la pace, ma sigilla il compromesso con i poteri di questo mondo. In tale scenario, Leone XIV non è la rottura del pontificato bergogliano, ma il suo raffinato compimento nell’ordine religioso del nuovo mondo che avanza.
Del resto, se – come da molti autorevolmente sostenuto, incluso Sacchetti – Jorge Mario Bergoglio non può essere riconosciuto come legittimo pontefice, in quanto antipapa, ne consegue, secondo una logica teologica ineludibile, che anche Robert Francis Prevost, da lui scelto, promosso con sorprendente celerità e infine elevato al cardinalato – condizione necessaria per l’eleggibilità al soglio – debba essere considerato parte integrante della medesima linea illegittima. L’investitura ricevuta da un pontefice irregolare, in assenza di una vera sanatio canonica, non può che propagare quella medesima invalidità, tanto sul piano sacramentale quanto su quello giuridico. In tal senso, il pontificato di Leone XIV si rivela, nella sua radice stessa, privo della legittimità apostolica e, pertanto, ascrivibile alla continuità dell’usurpazione per chi è di fede cattolica.
Ecco perché la verità sulle omissioni di Chiclayo non è un episodio periferico: è un barometro ecclesiale, un termometro della trasparenza, una soglia di credibilità. Non è solo questione di procedura: è questione di visione. Non è questione di colpa: è questione di coscienza. Non c’è ortodossia senza giustizia. Non c’è riforma senza verità. Non c’è autorità senza umiltà.
La Chiesa Cattolica che tacerà ancora – per prudenza, per paura o per strategia – non sarà più la custode della verità, ma la sua contraffazione liturgica.
E la storia – come già accaduto – lo registrerà.
Fonti bibliografiche
Fonti ufficiali pontificie
- Francesco, Papa. Laudato si’. Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 2015.
https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html - Francesco, Papa. Vos estis lux mundi. Motu Proprio, 7 maggio 2019.
https://www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/20190507_motu-proprio-vos-estis-lux-mundi.html
Fonti canonistiche e dottrinali
- Gentile, Claudio. 2020. «Le novità normative nella lotta agli abusi sessuali a un anno dall’incontro in Vaticano del 2019». Stato, Chiese e pluralismo confessionale.
https://riviste.unimi.it/index.php/statoechiese/article/download/14652/13563 - Licastro, Andrea. 2019. «Il whistleblowing nella Chiesa». Stato, Chiese e pluralismo confessionale.
https://riviste.unimi.it/index.php/statoechiese/article/download/12853/12075 - Milani, Daniela. 2020. «Responsabilità e conversione: la via di Francesco contro gli abusi del clero». In Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2:434–442.
https://air.unimi.it/bitstream/2434/946113/5/Milani_volume%2BGianfreda%281%29.pdf - Sandonà, Donato. 2023. «Dalla notitia de delicto all’indagine previa». Archivio Giuridico Filippo Serafini, Suppl. 2/2023.
https://www.archiviogiuridiconline.it/wp-content/uploads/2023/12/Sandona_online2_2023.pdf
Fonti giornalistiche e investigazione ecclesiastica
- Associated Press. 2025. «Leo will follow Francis.’ Amazon Catholics hope the new pope will protect the rain forest», 10 maggio 2025.
https://apnews.com/article/3d97c4977a56fd09bb0d1a55f7c06224 - Associated Press. 2025. «Advocates press for accounting of sex abuse cases in new pope’s past jurisdictions»
https://apnews.com/article/new-pope-leo-sex-abuse-cases-catholic-church-ee0b409fbf320a3382af03bc0ecc9561 - Bishop Accountability. 2025. «Pope Leo XIV Accused of Ignoring Child Sexual Abuse Claims in US and Peru», 9 maggio 2025.
https://www.bishop-accountability.org/2025/05/pope-leo-xiv-accused-of-ignoring-child-sexual-abuse-claims-in-us-and-peru/ - Crux Now. 2025. «Serious questions of credibility surround coverup allegations against new pope».
https://cruxnow.com/vatican/2025/05/serious-questions-of-credibility-surround-coverup-allegations-against-new-pope - Infovaticana. 2024. «La diócesis de Chiclayo exculpa al cardenal Prevost de un caso de encubrimiento», 30 maggio 2024.
https://infovaticana.com/2024/05/30/la-diocesis-de-chiclayo-exculpa-al-cardenal-prevost - Infovaticana. 2024. «Acusan al cardenal Prevost de encubrimiento cuando fue obispo de Chiclayo», 10 settembre 2024.
https://infovaticana.com/2024/09/10/acusan-al-cardenal-prevost-de-encubrimiento - Sacchetti, Cesare. 2025. «Le accuse di insabbiamento di abusi sessuali e quella macchina del fango contro Leone XIV». La Cruna dell’Ago, maggio 2025.
https://www.lacrunadellago.net/le-accuse-di-insabbiamento-di-abusi-sessuali-e-quella-macchina-del-fango-contro-leone-xiv/ - National Catholic Reporter. 2016. «SNAP issues apology to priest and St. Louis Archdiocese».
https://www.ncronline.org/news/accountability/snap-issues-apology-priest-and-st-louis-archdiocese - America TV – Cuarto Poder. 2024. Reportage televisivo sul caso Chiclayo, settembre 2024.
https://tvgo.americatv.com.pe/cuarto-poder/temporada-9/22092024-noticia-140901?
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Fonti istituzionali e biografiche
- Office of the Illinois Attorney General. 2023. Report on Clergy Sexual Abuse in the Catholic Church in Illinois.
https://clergyreport.illinoisattorneygeneral.gov/download/report.pdf - Villanova University. 2025. Comunicato ufficiale sulla nomina di Papa Leone XIV.
https://www1.villanova.edu/university/media/press-releases/2025/pope.html - Catholic Theological Union. Scheda alumni di Robert F. Prevost, O.S.A.
https://ctu.edu/ctu_alumni/bishop-robert-francis-prevost-osa/ - National Catholic Reporter. 2025. «Habemus papam: Chicago-born cardinal Robert Prevost takes name Leo XIV».
https://www.ncronline.org/vatican/habemus-papam-chicago-born-cardinal-robert-prevost-takes-name-leo-xiv
Fonti economiche e geopolitiche
- MOM Peru – Media Ownership Monitor. 2020. Profilo economico del Grupo El Comercio / Miró Quesada.
https://peru.mom-gmr.org/en/owners/individual-owners/detail/owner/owner/show/jose-alejandro-grana-miro-quesada/ - TIME Magazine. 2025. «World leaders praise Pope Leo XIV’s commitment to Francis’s climate legacy», 8 maggio 2025.
https://time.com/7284583/world-leaders-pope-leo-francis-climate-legacy/