
© di Filippo Chinnici
Con una nota asciutta e definitiva, il Dipartimento di Giustizia americano (da adesso DOJ) e l’FBI hanno chiuso formalmente l’inchiesta sul caso Jeffrey Epstein, uno dei dossier più oscuri del potere americano contemporaneo. Nessuna lista. Nessun ricatto. Nessun omicidio. Solo un suicidio. E tutto ciò viene dichiarato da un’amministrazione che, almeno a parole, prometteva di fare luce sulle tenebre dell’establishment.
Contenuti
1. Il memo: nessun cliente, nessun complotto
Secondo un memo interno pubblicato poche ore fa da Axios il DOJ afferma:
- Non esiste alcuna «lista dei clienti»;
- Non sono emerse prove di ricatti contro figure pubbliche;
- Epstein si è suicidato. Nessun coinvolgimento di terzi.
Per rafforzare la versione ufficiale, le autorità hanno diffuso un filmato della prigione federale MCC di Manhattan, sia nella versione originale sia “migliorata”, che mostrerebbe l’assenza di ingressi o movimenti anomali nella zona della cella di Epstein durante la notte del 9-10 agosto 2019. La narrazione ufficiale viene quindi ribadita: suicidio per impiccagione, come già stabilito dal referto del medico legale.
2. Il paradosso: la verità “ufficiale” arriva sotto Trump
Il dato più clamoroso non è solo il contenuto del memo, ma il suo tempismo politico. A dichiarare chiuso il caso non è un governo progressista o liberal, ma proprio la nuova amministrazione Trump, che ha nominato ai vertici dell’FBI due ex propagandisti del complottismo MAGA: Kash Patel e Dan Bongino, entrambi in passato noti per dichiarazioni in cui ipotizzavano l’omicidio di Epstein.
Per anni, il fronte conservatore aveva eretto attorno alla figura di Epstein un simbolo dell’élite deviata da smascherare: banchieri, reali, politici, registi, accademici. Ma oggi è proprio chi aveva promesso vendetta a suggellare il silenzio.
3. Elon Musk rompe il silenzio (e poi ritratta)
Un mese prima della diffusione del memo, Elon Musk, ormai in rotta con Trump ufficialmente per divergenze in materia energetica, aveva dichiarato in un post su X (ex Twitter) che Donald Trump comparirebbe nei file Epstein (telegram). L’affermazione è stata poi cancellata, ma non prima di aver scatenato un’ondata di speculazioni.
La risposta dell’ex presidente è arrivata attraverso il suo legale David Schoen (lo stesso che lo difese durante il secondo impeachment): nessuna implicazione, nessun reato. Musk ha quindi ritrattato parlando di “esagerazione”, ma la frattura pubblica resta. E con essa il sospetto che qualcosa sia stato detto troppo.
Eppure lo stesso Elon Musk conosceva Epstein e l’ha incontrato almeno una volta nel 2012 (radar).
4. Nessuna lista, nessuna trasparenza
Il DOJ ha confermato che non verranno resi noti altri materiali. Le motivazioni ufficiali sono:
- Tutela della privacy delle vittime;
- Presenza di contenuti pedopornografici;
- Rischio di diffamazione contro soggetti potenzialmente innocenti.
Tuttavia, non viene spiegato perché documenti già noti al pubblico, come i registri di volo di Epstein o le agende telefoniche sequestrate, vengano oggi ignorati o omessi dal rapporto.
- Registri di volo (telegram).
- Epstein files (The Guardian).
- Sono state desecretate oltre 900 pagine di documenti che coinvolgono individui collegati ai molestatori sessuali Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell, nonché i loro soci in affari e le loro accusatrici.
- Paradise Papers dell’élite.
- Il rapporto dell’OIG afferma che le telecamere digitali nella sezione di Epstein presso la Metropolitan Correctional Center casualmente erano malfunzionanti al momento della morte. Le guardie non svolgevano i controlli obbligatori, e il protocollo prevedeva un compagno di cella non assegnato.
5. Il nodo Mossad: ipotesi, omissioni, legami reali
Un aspetto ignorato dal memo è la possibile connessione tra Epstein e l’intelligence israeliana. Diversi investigatori hanno ipotizzato che Epstein operasse come raccoglitore di kompromat per conto di servizi stranieri. Tra i riferimenti più significativi:
- Ari Ben-Menashe, ex agente dell’intelligence israeliana, ha dichiarato che Epstein fu gestito da ambienti legati al Mossad. Tali dichiarazioni non sono mai state formalizzate in atti giudiziari, ma sono state raccolte da giornalisti investigativi (JFeed, Times of Israel).
- Il padre di Ghislaine, Robert Maxwell, era una spia del Mossad coinvolto nella diffusione del software PROMIS (telegram).
- Epstein possedeva proprietà attrezzate con telecamere nascoste e connessioni con il MIT Media Lab, Harvard University e fondazioni collegate, documentate da Ronan Farrow su The New Yorker .
Eppure, il memo del DOJ non menziona alcuna indagine sui fondi offshore, sulle società di comodo o sui trust registrati alle Isole Vergini britanniche, da cui Epstein avrebbe veicolato denaro verso fondazioni e individui influenti. Secondo Bloomberg, il valore degli asset superava i 600 milioni USD.
6. Chiudere non è chiarire
La narrazione ufficiale è chiara, netta, utile: Epstein si è impiccato. Era un predatore isolato. Non esiste alcuna rete. Nessun altro da perseguire. Ma la retorica minimalista è essa stessa un sintomo. Perché proprio chi aveva promesso di smascherare il sistema ora lo archivia con un atto formale? Perché il caso più mediaticamente esplosivo del secolo viene chiuso senza alcun documento desecretato? Le contraddizioni non si dissolvono:
- Perché Epstein fu incarcerato in condizioni anomale, con le videocamere rotte e le guardie addormentate?
- Perché la cella più sorvegliata d’America ha lasciato “sfuggire” il suicidio dell’uomo più pericoloso per le élite?
- Perché il materiale raccolto non può nemmeno essere inventariato pubblicamente, in forma redatta?
La sensazione è che il documento serva non a raccontare la verità, ma a bloccare il racconto. Non una conclusione, ma un’interruzione. Non una risposta, ma un ordine del silenzio. E come ogni ordine del silenzio, lascia dietro di sé un’eco crescente di domande. Perché il caso Epstein non è soltanto un caso. È una soglia.
Non rappresenta uno scontro tra verità e menzogna, ma un conflitto interno tra élite rivali — accomunate, tuttavia, da un codice esoterico condiviso, un linguaggio iniziatico che trasforma l’abuso in potere e il potere in narrazione.
Trump, che a lungo ha promesso di smantellare il deep state, alla fine ha lasciato intatto l’altare: nessuna desecretazione, nessuna rottura del patto oscuro. Come se il suo ruolo fosse quello del cane da guardia integrato, incaricato di canalizzare il sospetto senza mai violare il tempio.
Nel teatro delle “fratellanze”, dove logge, think tank e apparati si scambiano favori e coperture, il politically correct è solo la veste cerimoniale di un ordine non detto: un’ortodossia rituale, utile a dissimulare le vere fedeltà — non ideologiche, ma simboliche, iniziatiche, cabalistiche.
In questo contesto, Epstein non è un’anomalia, ma una funzione: punto di snodo tra eros e potere, tra ricatto e controllo, tra dominio e sapienza occulta. È il sacerdote perverso di un sistema che non si limita a nascondere, ma che opera tramite ciò che nasconde.
Da Platone al Rinascimento magico, fino a Dugin e al “quarto logos”, lo gnosticismo ritorna: un sapere che salva solo pochi, un potere che plasma l’umano come materia alchemica. Ma la verità evangelica sconfessa ogni iniziazione: essa è rivelata agli umili, non agli adepti; è offerta ai deboli, non agli eletti delle tenebre.
E allora forse il vero scandalo non è ciò che il dossier Epstein nasconde, ma ciò che rivela: che non esiste salvezza nell’élite, e che il potere — quando si inginocchia al mistero dell’iniquità — smette di governare per cominciare a sacrificare.