L’operazione con cui Israele sta riscrivendo ciò che l’Occidente pensa
Esiste una storia che il mainstream rifiuta di sfiorare: non compare nei telegiornali, non trova spazio nella carta stampata, eppure affiora nei rapporti riservati delle intelligence, nelle analisi più coraggiose della stampa israeliana e in alcune inchieste palestinesi che hanno osato guardare oltre la superficie.
È una storia che ci riguarda intimamente, perché tocca il modo stesso in cui formiamo le nostre opinioni, interpretiamo le notizie, percepiamo il mondo.
Una storia che interroga la struttura del pensiero pubblico occidentale.
Questa storia ha un nome: la più vasta operazione di influenza psicologica mai orchestrata .
Un’operazione sostenuta da finanziamenti milionari, progettata con rigore ingegneristico e articolata su tre assi portanti:
- la religione evangelica,
- i social media,
- l’intelligenza artificiale.
Ora che le prime evidenze documentarie emergono alla luce — sulla base di inchieste pubblicate da Haaretz, The Cradle, Middle East Monitor, Responsible Statecraft e di documenti depositati presso il Foreign Agents Registration Act statunitense — il quadro si delinea con una chiarezza difficilmente eludibile sul piano analitico: secondo tali ricostruzioni giornalistiche e documentali, lo Stato di Israele risulta aver pianificato, finanziato e coordinato una vasta operazione di influenza cognitiva finalizzata a orientare il consenso occidentale.
1. Le chiese evangeliche trasformate in infrastruttura politica
Sul ruolo nevralgico delle Chiese evangeliche nella diffusione dell’agenda politica sionista abbiamo scritto diverse volte. La differenza, oggi, non risiede nella natura del fenomeno, ma nella sua forma: ciò che un tempo si consumava nei retroscena discreti della diplomazia religiosa, ora viene esibito con una spregiudicatezza che sfiora l’arroganza strategica. La discrezione è stata archiviata; la penetrazione si è trasformata in ostentazione.
Haaretz, ha documentato un programma multimilionario del Ministero degli Esteri israeliano destinato a modellare il consenso evangelico attraverso una costellazione di iniziative: grandi eventi cristiani sponsorizzati (come quello che si è tenuto l’altro ieri a Roma), viaggi religiosi nella così detta “terra santa” accuratamente costruiti per generare attaccamento emotivo al territorio israeliano, accordi con reti radio-televisive evangeliche, materiali narrativi preconfezionati consegnati a pastori e influencer per uniformare sermoni, video e contenuti social. Non siamo di fronte a un moto spontaneo di pietà religiosa, bensì — secondo quanto emerge dalle fonti giornalistiche citate — a un’operazione strutturata di ingegneria simbolica e comunicativa, in cui il linguaggio religioso viene impiegato come vettore di consenso politico, prescindendo da una reale motivazione teologica autonoma.
Ne abbiamo già dato conto, a suo tempo, nei nostri canali telegram.
Questo ecosistema di soft power, come rivelato anche da Middle East Monitor e The Cradle, non si limita agli Stati Uniti, ma coinvolge attori religiosi e mediatici di diversi Paesi occidentali, trovando un sorprendente riscontro anche in Italia.
Il segnale più evidente è la delegazione evangelica italiana invitata al Christian Media Summit di Gerusalemme: tredici figure accuratamente selezionate — pastori, giornalisti, conduttori televisivi, podcaster, responsabili di associazioni e influencer religiosi — accompagnate e ricevute ufficialmente all’Ambasciata di Israele a Roma dall’ambasciatore Jonathan Peled e dai responsabili degli Affari Pubblici.
Alla luce della natura degli incontri, dei soggetti coinvolti e dei temi trattati, tale iniziativa appare configurarsi non come un pellegrinaggio religioso in senso stretto, ma come un atto di interlocuzione diplomatica e mediatica, inserito in una più ampia strategia di relazione politico-comunicativa.
A Gerusalemme la delegazione italiana ha incontrato il direttore del Government Press Office, Nitzan Chen, e il parlamentare Ohad Tal, partecipando a sessioni dedicate alla comunicazione geopolitica e alla dottrina delle «valorizzazioni giudeo-cristiane», formula politica adoperata per costruire una base identitaria compatibile con la narrativa israeliana. Il messaggio è trasparente: Israele non si limita a dialogare con i media evangelici; li struttura, li seleziona, li allinea, li utilizza.
All’interno di questo schema comunicativo si colloca anche Alessandro Iovino, figura pubblica attiva da anni in contesti internazionali legati al National Prayer Breakfast di Washington, evento oggetto di numerose inchieste e ricostruzioni giornalistiche che ne hanno evidenziato la funzione di crocevia relazionale tra ambienti politici, religiosi e istituzionali statunitensi.
Non si tratta di attribuire intenzioni soggettive o giudizi personali, ma di analizzare una funzione comunicativa oggettiva: la partecipazione ricorrente a eventi riconducibili all’area cristiano-sionista, quale risulta da comunicati, reportage e materiali pubblicamente accessibili, colloca tali profili tra i soggetti che, di fatto, concorrono alla diffusione internazionale di specifiche narrazioni politico-religiose. In tale prospettiva, tali profili pubblici risultano associati — secondo numerosi osservatori critici — alla circolazione di una lettura teologico-politica descritta come una reinterpretazione dell’escatologia cristiana in chiave funzionale a obiettivi politici contemporanei connessi al sionismo.

L’estensione italiana: l’evento di Roma dell’8 dicembre 2025
Il dispositivo israeliano non opera soltanto all’estero: opera già in Italia, con modalità pressoché identiche.
L’8 dicembre 2025, a Roma, l’evento «Voci dal Medio Oriente per un futuro di pace», promosso da Cristiani per Israele Italia, ha replicato in versione nazionale la medesima architettura narrativa del Summit: narrazione emotiva, retorica della riconciliazione filtrata da un’unica prospettiva, uso intensivo del linguaggio biblico come vettore identitario-politico. I video ufficiali mostrano una regia coerente, calibrata per trasformare il discorso teologico in consenso geopolitico.
Non è un incontro spirituale: è un nodo locale della campagna cognitiva israeliana.
La dichiarazione rivelatrice di Roselen Faccio
Il momento più rivelatore, tuttavia, non proviene da un’inchiesta esterna, ma dall’interno stesso dell’evento. In una clip promozionale diffusa sui social, la ‘pastora’ Roselen Faccio, tra le promotrici dell’incontro, afferma testualmente:
«All’evento sarà presente personale dell’Intelligence del Medio Oriente… Intelligence anche di Israele».
Qualora l’affermazione corrisponda al senso letterale delle parole pronunciate nella clip pubblicamente diffusa, essa assume un rilievo significativo sul piano analitico, poiché suggerisce un livello di interlocuzione che eccede il perimetro di un semplice evento religioso.
Perché mai un evento ‘evangelico’, apparentemente religioso, dovrebbe ospitare, o addirittura vantarsi di ospitare, personale dei servizi segreti israeliani? Una simile ammissione:
- conferma un coordinamento diretto con strutture informali dello Stato israeliano;
- colloca l’evento romano dentro la rete operativa della campagna di influenza;
- dimostra che la penetrazione nei circuiti evangelici italiani non è solo comunicativa, ma già istituzionale.
Questa clip non costituisce un dettaglio marginale sul piano analitico: se letta nel contesto delle fonti e delle dinamiche documentate, essa rafforza l’ipotesi che la campagna mediatica israeliana descritta non sia soltanto oggetto di pianificazione teorica, ma presenti già elementi operativi riscontrabili anche attraverso attori italiani e circuiti evangelici attivi sul territorio nazionale.
Secondo le dinamiche documentate dalle fonti citate, Israele tende a considerare le Chiese evangeliche come asset geopolitici funzionali alla propria strategia comunicativa internazionale.
E individua — seleziona — integra — quei profili mediatici che possono contribuire alla costruzione del consenso.
È un’operazione di ingegneria simbolica, non di fede.
Un algoritmo politico che veste abiti religiosi.
Una diplomazia di pulpito che ha il suo centro non nella rivelazione biblica cristocentrica, ma in una manipolazione della Scrittura stessa, reinterpretata in funzione di un’ideologia politica — il sionismo — secondo una lettura che numerosi critici qualificano come idolatrica ed etnocentrica, in quanto tende a sostituire la centralità cristologica con una narrazione etno-politica.

2. Netanyahu ammette la strategia: «Le armi oggi sono i social media»
Se il primo paragrafo illustrava l’infrastruttura, questo ne svela la dottrina operativa.
Non siamo davanti a illazioni giornalistiche, ma a dichiarazioni dirette, pronunciate dal Primo Ministro israeliano davanti a un gruppo selezionato di influencer statunitensi, convocati non per cortesia istituzionale ma per la loro funzione strategica nell’ecosistema comunicativo contemporaneo.
Nel corso di un incontro privato a New York, Benjamin Netanyahu ha scandito tre frasi che, lette senza ingenuità, costituiscono la confessione programmatica di una guerra cognitiva ormai pienamente dispiegata. Le riportiamo nella loro letteralità, perché la loro nudità lessicale è più eloquente di qualunque commento:
- «Le armi cambiano nel tempo… oggi le più importanti sono i social media»
- «Il più importante acquisto del momento è TikTok… può essere decisivo»
- «Musk non è un nemico, è un amico. Dobbiamo parlare con lui»
Queste parole non sono il frutto di un’estemporaneità comunicativa: sono la delimitazione del nuovo campo di battaglia. Non più il territorio, non più le armate, ma la trama percettiva entro cui le società occidentali si formano opinioni, emozioni, identità. Il lessico non è neutro: Netanyahu non parla di diplomazia, né di mobilitazione dell’opinione pubblica. Parla di armi.
Quando un capo di governo definisce TikTok «l’acquisto più importante», rivela che l’asse della sovranità contemporanea si è spostato dal dominio dello spazio fisico alla signoria sulla percezione; dall’alleanza militare alla padronanza dell’ecosistema algoritmico che plasma comportamenti e orientamenti morali.
Ancor più rivelatrice è la frase su Elon Musk: «non è un nemico, è un amico».
Non si tratta di una cordiale banalità diplomatica: è l’ammissione che le piattaforme non sono imprese private, ma snodi strategici del conflitto narrativo globale.
Parlare con chi detiene X significa influenzare la colonna vertebrale del discorso pubblico occidentale, modulare ciò che appare, scompare o viene amplificato nella coscienza collettiva.
TikTok, X, Instagram, YouTube non sono più “social”: sono armi cognitive, dispositivi che decidono chi vede cosa, quando, in quale ordine e con quale intensità emotiva. Non ospitano semplicemente contenuti: li gerarchizzano, li amplificano, li seppelliscono. Sono, in senso proprio, arsenali di percezione.
Le dichiarazioni di Netanyahu formalizzano ciò che Haaretz, The Cradle, Middle East Monitor e Responsible Statecraft avevano già anticipato: la metamorfosi della propaganda in tecnologia di governance, in cui la manipolazione dell’immaginario non è più accidente della comunicazione politica, ma funzione sovrana dello Stato, trattata alla stregua di un asset strategico.
Non documentano solo una strategia: documentano l’emergere di un complesso mediatico-militare in cui la potenza di una nazione si misura dalla capacità di colonizzare la coscienza degli alleati, orientarne le emozioni, sincronizzarne le convinzioni.
Un tempo la diplomazia era un’arte; oggi è un algoritmo.
E Netanyahu, con una miscela di sincerità calcolata e arroganza sistemica, lo dichiara apertamente.
Rimane una domanda, che non è retorica, ma strutturale:
Se questi sono i mezzi dichiarati, quali sono quelli non dichiarati?
3. Il contratto da 6 milioni per “addestrare” l’ecosistema digitale
Il terzo tassello non si limita a completare il quadro: lo trasfigura in dottrina di Stato. A settembre, come attestano documenti depositati presso il Foreign Agents Registration Act del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, il Governo israeliano ha sottoscritto un contratto dal valore di 6 milioni di dollari con la società americana Clock Tower X LLC, attiva nell’ingegneria informativa e nelle tecnologie di influenza digitale
Questi documenti — obbligatori per chiunque operi come agente straniero negli USA — non sono voci di corridoio né deduzioni giornalistiche: costituiscono una prova legale e non contestabile. Sono atti federali che descrivono obiettivi, strumenti e metodologie dell’incarico affidato a Clock Tower X con una chiarezza che non lascia spazio alle interpretazioni consolatorie.
Ancora più significativo è l’uomo al timone dell’operazione: Brad Parscale, architetto della strategia digitale che condusse Donald Trump alla vittoria nel 2016, pioniere del microtargeting psicografico e della guerra elettorale basata sui dati.
Israele, dunque, non si è affidato a un tecnico qualsiasi: ha scelto uno dei massimi ingegneri del potere algoritmico globale, una figura abituata a trasformare le preferenze collettive in vettori di dominio politico.
Fonti convergenti — Middle East Monitor , Responsible Statecraft e The Cradle — delineano con precisione la natura e la portata del progetto.
Il contratto articola tre direttrici operative, che esulano del tutto dalla propaganda classica e appartengono a ciò che occorre ormai chiamare guerra cognitiva avanzata:
1. Produzione industriale di contenuti pro-Israele.
Non più messaggi isolati, ma flussi narrativi automatici, replicabili e modulati per saturare l’ambiente informativo. L’obiettivo è dissolvere la distinzione tra spontaneità e propaganda, generando un campo semantico in cui il favore verso Israele appaia naturale, ovvio, ambientale.
Un’intossicazione del discorso pubblico che non mira a convincere, ma a rendere impossibile pensare altrimenti.
2. Manipolazione algoritmica dei motori di ricerca. Clock Tower X utilizza strumenti come MarketBrew AI, adoperati negli scenari più avanzati della search-engineering predittiva.
Ciò significa progettare contenuti in grado di galleggiare artificialmente ai vertici dei risultati Google, anticipando gli algoritmi e orientando la modalità stessa con cui il pubblico scoprirà — e dunque comprenderà — il conflitto.
Non è persuasione: è prefigurazione matematica della percezione.
3. Orientamento dei modelli di intelligenza artificiale generativa. È il punto più innovativo e, al tempo stesso, più inquietante.
L’operazione non viola i modelli di IA: li addestra indirettamente, saturando l’ambiente informativo da cui essi apprendono.
Poiché sistemi come ChatGPT interiorizzano ciò che trovano online, alterare sistematicamente il tessuto semantico del web significa incidere sulle risposte dell’IA a monte, nel momento in cui la macchina impara.
È una rivoluzione copernicana della propaganda: non è più l’IA che plasma il mondo, ma il mondo — manipolato — che plasma l’IA.
Una nuova dottrina dell’influenza: la colonizzazione preventiva del futuro
Se la ricostruzione delle inchieste è corretta, siamo davanti a una svolta epocale: un governo che non mira più soltanto a orientare l’opinione pubblica, ma gli strumenti che produrranno l’opinione pubblica nei prossimi decenni.
Non si controllano più gli utenti: si controllano le intelligenze che gli utenti consulteranno.
Non propaganda, ma pre-propaganda.
Non persuasione, ma programmazione dell’ambiente cognitivo da cui dipenderanno scelte religiose, politiche, sociali e generazionali.
Altro che soft power: siamo all’alba di ciò che occorre chiamare algorithmic statecraft, un potere che non conquista territori, ma paradigmi; non modifica governi, ma orizzonti cognitivi.
4. Gli influencer pagati fino a 7.000 dollari a post
Se esiste un punto in cui la propaganda rinuncia a ogni ambiguità e si manifesta nella sua brutalità industriale, è nella rivelazione — documentata con precisione forense — che Israele ha pagato influencer statunitensi fino a 7.000 dollari per ciascun post pro-Israele.
Non siamo dinanzi a illazioni né a sospetti: questa architettura mediatica è stata esposta da una delle testate americane più autorevoli nello studio del soft power e della guerra cognitiva, Responsible Statecraft, la cui inchiesta è divenuta ormai un riferimento imprescindibile nel dibattito internazionale.
L’articolo ricostruisce nel dettaglio come il Ministero degli Esteri israeliano abbia orchestrato una rete capillare di creatori digitali — TikToker, Instagrammer, YouTuber — trasformandoli in agenti informativi retribuiti, senza che il pubblico fosse minimamente consapevole della natura politica, e ancor meno finanziaria, dei contenuti che consumava.
Un approfondimento successivo, dello stesso centro di analisi, ha permesso di delineare l’intero network: ricercatori e attivisti hanno verificato contratti, compensi, linee guida, perfino istruzioni puntuali su quali parole utilizzare, quali angoli emotivi colpire, quali cornici narrative ripetere con ossessiva regolarità.
È la metamorfosi del feed personale in un corridoio propagandistico.
Una conferma ulteriore proviene da Middle East Monitor, che ribadisce la portata economica dell’operazione, puntualizzando che alcuni influencer ricevevano effettivamente fino a 7.000 dollari per singolo intervento.
La formula è di una semplicità disarmante: denaro in cambio di narrazioni, spacciate per opinioni personali e dunque infinitamente più persuasive della comunicazione istituzionale.
Non è pubblicità occulta: è identità occulta.
Il volto che sorride nello schermo non è un cittadino libero, ma un terminale di un progetto comunicativo calibrato e sorvegliato.
Questa è micro-propaganda ad altissima efficacia, perché mimetizzata nella spontaneità del quotidiano.
L’utente che scorre il feed non percepisce la costruzione politico-strategica che si cela dietro quei video rapidi, quelle frasi apparentemente leggere, quella parvenza di autenticità: non vede la mano che regge il messaggio, né il budget che ha finanziato l’inquadratura.
È una nuova forma di guerra cognitiva: non occupa territori fisici, ma territori mentali; non conquista spazi geografici, ma l’attenzione degli individui, bene strategico del XXI secolo.
Operazioni così puntuali, chirurgiche, calibrate sulle emozioni e sui bisogni identitari delle nuove generazioni, non sono soltanto discutibili: costituiscono il volto più raffinato e inquietante della manipolazione democratica contemporanea, dove la seduzione sostituisce la deliberazione, e la percezione sostituisce la verità.
5. Il nodo centrale: Israele sta riscrivendo il campo semantico dell’Occidente
Quando si ricompongono i frammenti — l’azione capillare nelle Chiese evangeliche, la rete di influencer remunerati fino a 7.000 dollari per singolo post, il contratto milionario con Clock Tower X, le dichiarazioni di Netanyahu sui social come “armi”, e soprattutto la rivelazione, pubblicata da Yedioth Ahronoth , di un programma governativo da 145 milioni di dollari destinato a plasmare l’ecosistema cognitivo occidentale — il mosaico si ricompone con una nitidezza quasi perturbante..
Non siamo di fronte a episodi occasionali, né a iniziative contingenti o frammentarie.
Siamo dinanzi a un progetto organico, centralizzato, finanziato, strategicamente unitario, concepito per riconfigurare il campo semantico entro cui l’Occidente elabora opinioni, costruisce convinzioni, articola identità.
Lo scopo non è più quello — caratteristico della propaganda novecentesca — di orientare il giudizio pubblico su un singolo dossier geopolitico.
L’obiettivo è più profondo e radicale: modificare l’ambiente stesso in cui il pensiero prende forma, ossia quel paesaggio di significati, emozioni e categorie da cui il mondo occidentale ricava le proprie idee di politica, fede, conflitto e giustizia.
Le strategie documentate delineano un’architettura coerente e implacabile:
- Plasmare le coscienze religiose, in particolare quelle evangeliche, attraverso viaggi guidati, predicazioni strutturate, accesso coreografato ai luoghi simbolici, narrazioni preconfezionate da distribuire ai pulpiti. (Haaretz)
- Sfruttare gli algoritmi delle piattaforme digitali come amplificatori psicologici, così da produrre l’illusione che determinate narrazioni siano spontanee, diffuse, prevalenti. Una percezione artificiale di consenso. (Responsible Statecraft)
- Saturare l’infosfera con contenuti industriali, progettati per modificare trend, metriche di visibilità, gerarchie dell’attenzione. Non si vince persuadendo: si vince sovrastando. (Middle East Monitor)
- Intervenire sull’Intelligenza Artificiale alterando il tessuto informativo da cui i modelli linguistici apprendono. Chi controlla il campo semantico, controlla le risposte dell’IA. E chi controlla le risposte dell’IA plasma l’immaginario futuro di milioni di utenti. (The Cradle)
Il risultato non è propaganda nel senso classico del termine, riconoscibile e lineare.
È ingegneria percettiva: un’opera che agisce non sulla superficie dei contenuti, ma sulla struttura profonda del percepire, su ciò che appare ovvio, naturale, plausibile.
È la trasformazione del consenso in prodotto industriale.
La psicologia collettiva elevata a funzione governativa.
La costruzione deliberata di un ecosistema mentale favorevole a uno Stato, mediante una combinazione di denaro, algoritmi, tecnologia e narrazione.
Questa non è una campagna: è un ambiente di influenza.
E come ogni ambiente, rimane invisibile finché non si educa lo sguardo a riconoscerlo.
Per la prima volta nella storia, un governo non tenta soltanto di persuadere le persone: tenta di delimitare l’orizzonte entro cui esse potranno pensare.
Non una geopolitica delle idee, ma una geopolitica dei possibili.
L’obiettivo non è cambiare ciò che l’Occidente crede, ma cambiare ciò che l’Occidente è autorizzato a poter credere.
Conclusione
A questo punto occorre dirlo senza ambagi: questa non è una storia su Israele.
È una storia su noi stessi.
Sulla misura in cui abbiamo delegato la nostra facoltà di discernimento a schermi che non comprendiamo, a flussi informativi che non governiamo, a sistemi algoritmici che ci anticipano, ci profilano, ci interpretano prima ancora che noi possiamo interpretare il mondo.
Il caso israeliano è solo il rivelatore di un ordine più vasto: mostra come un governo possa intrecciare religione, psicologia collettiva, marketing politico, influencer, tecnologie predittive e intelligenza artificiale per alterare la percezione di interi continenti.
Ma la domanda decisiva è un’altra, e pesa come una pietra sul nostro futuro: quanti altri Stati faranno la stessa cosa domani?
La minaccia non è un’operazione mediatica: è un mutamento antropologico.
Stiamo varcando la soglia di un’epoca in cui il potere non mira più a governare i popoli, ma a modellare il terreno cognitivo sul quale i popoli formano i loro giudizi.
Non una colonizzazione delle menti, ma delle condizioni stesse del pensare.
La posta in gioco non è la geopolitica: è la libertà epistemica.
Le tessere del mosaico sono ormai davanti ai nostri occhi:
- le Chiese Evangeliche trasformate in asset politico-mediatici;
- influencer — molti dei quali evangelici — retribuiti per simulare spontaneità;
- social network trattati come armi strategiche;
- motori di ricerca manipolati come apparati semantici;
- modelli di IA orientati mediante saturazione informativa.
Non sono fenomeni episodici: sono anticipazioni del mondo che viene.
L’Occidente, che per secoli ha fondato la propria identità sulla coscienza individuale, sulla disciplina del giudizio, sulla responsabilità morale del pensiero, si ritrova ora dinanzi a un bivio:
O accetta che la propria visione del reale venga progettata altrove — in ministeri, apparati dell’intelligence, aziende tecnologiche opache, algoritmi proprietari non soggetti ad alcun controllo democratico — oppure decide di riappropriarsi del proprio spazio mentale, ricostruendo quella vigilanza intellettuale senza la quale la democrazia scivola nell’eterocrazia cognitiva.
La domanda, in fondo, è disarmante nella sua semplicità: vogliamo ancora pensare da soli?
Perché la libertà non si estingue quando qualcuno impone cosa credere, ma quando smettiamo di accorgerci chi ha deciso ciò che crediamo.
E la Scrittura, con lapidaria lucidità, aveva già descritto la logica spietata di ogni potere che compra fedeltà, consenso e coscienze:
Quelli che vogliono arricchirsi cadono in tentazione, in un laccio e in molte brame insensate e funeste, che affogano gli uomini nella rovina e nella perdizione. Infatti l’amore del denaro è radice di ogni specie di mali; e alcuni, che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori. (1 Timoteo 6,9-10)
Fonti essenziali
- Losing the Republican Base, Israel Pours Millions to Target Evangelicals and Churchgoers — Haaretz, 9 novembre 2025
- Israel ramps up propaganda spending targeting US churchgoers, ChatGPT users — The Cradle, 7 novembre 2025
- From Churches to ChatGPT: Israeli Contracts Worth Millions Aim to Influence U.S. Public Opinion — PNN (Palestine News Network), 6 novembre 2025
- Netanyahu admits using social media as weapon to influence US opinion amid Gaza genocide — Anadolu Agency, 27 settembre 2025
- Israel launches propaganda blitz targeting US churches, influencers and AI — Middle East Monitor, 11 novembre 2025
- Report “Who are the ‘influencers’ Israel is paying $7k per post?” / details on the contract with Clock Tower X — dossier su “AI-public diplomacy” legati a Israele, citati in più fonti fra cui Haaretz, Middle East Monitor, PNN, 6 novembre 2025.
- Delegazione italiana al Christian Media Summit di Gerusalemme, Edipi
- Voci dal Medio Oriente per un futuro di pace, un incontro di grande valore umano e spirituale, capace di creare ascolto, Facebook
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Centomila evangelici americani indottrinati
Nel video che segue, è detto che centomila evangelici americani sono formati affinché divengano, nel loro stesso Paese, emissari degli interessi dello Stato d’Israele… avvalendosi di tecnologie di apprendimento adattivo.
Comprendete l’implicazione? Si agirà sulle facoltà mentali di centomila credenti, modellandoli in sostenitori zelanti del sionismo, così che, una volta rientrati negli Stati Uniti, possano influenzare le loro comunità, i loro fedeli, gli amici, le famiglie, gli studenti e quanti gli gravitano intorno.
L’“apprendimento adattivo” non è che cognizione programmabile.
Quando un sistema non si limita a registrare ciò che sapete, ma apprende come pensate, acquisisce il potere di premiare la conformità, scoraggiare ogni deviazione e guidare in silenzio le conclusioni. Non mediante imposizione o censura, bensì attraverso circuiti di retroazione personalizzati, esposizione selettiva e un rinforzo discreto, quasi impercettibile.
È indottrinamento algoritmico: una forma di dominio mentale mascherata da ottimizzazione.
È lo strumento più raffinato di condizionamento mai concepito nella storia umana, poiché si presenta come utile, personalizzato e benevolo mentre, in realtà, restringe progressivamente l’orizzonte interiore. E le organizzazioni che promuovono il sionismo lo impiegheranno per condurre molti a sostenere, direttamente o indirettamente, i loro disegni di annientamento.
Nota editoriale
Il presente articolo costituisce un’analisi critica di fatti di interesse pubblico, fondata su fonti giornalistiche e documentali accessibili, e rientra nell’esercizio del diritto di cronaca, di critica e di libera manifestazione del pensiero. Le valutazioni espresse hanno natura interpretativa e non intendono attribuire responsabilità penali o intenzioni soggettive a singoli individui.
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